S.C.P. Senza Casa Propria
by Pierluigi Zolli
Quali oggetti la rendono unica e vi fanno sentire al sicuro? E se doveste ricostruirla riassunta, ridotta ai minimi termini, a cosa non potreste mai rinunciare? E che forma avrebbe?
Quando osservi le foto che Pierluigi Zolli scatta da anni in giro per Roma ai troppi luoghi in cui abitano i “senza dimora”, emergono questi interrogativi. Insieme allo sgomento nel constatare quanta umanità vive ai margini, invisibile sotto gli occhi di tutti, e all’emozione struggente nel vedere cos’è casa per chi casa non ce l’ha.
Il minimo necessario, mimetizzato tra le maglie di una metropoli distratta: una carrozzina incapsulata in un lenzuolo bianco, come un baco da seta; un pacco arrampicato su un vecchio telefono a gettoni; un fagotto nel mezzo di un marciapiedi, sotto la tangenziale; un sacco nero, di quelli per la spazzatura, pieno di chissà cosa, e accanto una pianta, compagna poco esigente.
Casa può essere anche questo “poco poco”. «Oggetti d’uso comune che tutti noi pensiamo forse siano gettati o abbandonati, e invece sono fondamentali per qualcun altro. È l’oggetto che dà principio al concetto di casa», afferma Pierluigi Zolli. Alle spalle e sotto i piedi un’esperienza pluriennale da fotografo professionista, un impegno intenso come fotografo di montagna e di scena, ha iniziato a lavorare al progetto “S.C.P. Senza Casa Propria” nel 2019, quasi per caso. Ma fin dai primi scatti la regola del gioco è stata subito chiara, istintiva e destinata a non cambiare: il padrone di quella casa negata, e forse proprio perciò fatalmente ribadita, nella foto non deve essere presente. Perché anche se fermarsi a scattare pone il fotografo nella posizione di chi “spia dal buco della serratura”, lui lo fa con autentico rispetto e con un’empatia che traspare limpida quando racconta del progetto. «Per me questo è un lavoro di natura emozionale», spiega. «Per molto tempo l’ho portato avanti per me stesso”. Come se testimoniare la realtà fosse un’esigenza intima, un’urgenza personale, che nasce nel momento in cui Pierluigi inciampa in situazioni che lo colpiscono.
Ogni scatto ferma uno di quei momenti, spesso casuali, che in realtà sono frutto di una conoscenza capillare delle zone di Roma che setaccia con lo sguardo; una conoscenza costruita con discrezione nel tempo, di coloro che dormono in quei giacigli e delle loro abitudini di vita.
L’intento però non è documentare, bensì capire. Il suo lavoro nasce come ricerca della verità, pur rappresentando implicitamente un documento visivo di valore sociale. E nel contempo deriva dalla volontà di fermare l’emozione che anima dall’interno questi “estratti visivi” della quotidianità dei senza dimora. Un desiderio di trattenere la tensione emotiva che nasce da quelle visioni per poi trovare un modo di trasmetterla.
«Fin dagli inizi la mia attenzione si è istintivamente concentrata sui giacigli», continua a raccontare Pierluigi. Perché la casa, quando non c’è, si riduce sostanzialmente al luogo in cui si dorme, «il luogo di maggior intimità, e dunque di massima esposizione al pericolo, di vulnerabilità estrema». Un dato che costituisce il nucleo pulsante delle sue fotografie, il cuore vivo del progetto. Ogni giaciglio è diverso, costruito come un epiteto, a sintetizzare il senso che per ogni persona ha il luogo in cui si torna la sera.
«Osservando questi giacigli la mia attenzione è stata subito attratta da un particolare: la presenza di evidenti tracce di una ricerca di ordine. Un tentativo ricorrente di trovare una regola di vita, anche in condizioni così estreme». Questa organizzazione che tiene insieme gli oggetti, spiega Pierluigi, «rivela per me l’esistenza di una fiducia in qualcosa, una capacità di prendersi ancora cura”. Segni di un rispetto di sé, del luogo scelto per vivere, forse addirittura dello sguardo dei passanti. Indizi di dignità, che lasciano intuire le ragioni per cui ognuno ha ricreato la propria casa proprio in quel luogo, proprio così: la presenza di un albero, un tetto che protegge dalla pioggia, una grotta che rende invisibili, due mura che contengono – non sono quattro ma meglio di niente – o una specie di separé che chiude fuori il mondo.
Pierluigi scova questi indizi e ne dà conto. Si fa testimone e per farlo seleziona solo gli elementi indispensabili ad abitare le sue fotografie, rigorosamente in bianco e nero, formato quadrato, composizione impeccabile. Pochi elementi che, avulsi dalla realtà circostante e organizzati dal suo istinto fotografico, conquistano la potenza iconica degli “impacchettamenti” di Christo, degli assemblage di Arman, o nascondono, tra le pieghe, memorie di sontuosi panneggi classici.
La dignità che Pierluigi rinviene, annidata negli angoli bui di una Roma laterale, parallela, tra plastiche, cartoni e lenzuola sgualcite, ha il potere calmante della quiete dentro la tempesta, perché porta a galla l’ordine che cerca di tenere a bada la mancanza di senso di esistenze che hanno perso l’illusione della sicurezza.
Francesca Boschetti
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Pierluigi Zolli
Biografia
Pierluigi Zolli vive e lavora a Roma.
Dopo la Maturità Artistica, frequenta corsi professionali di grafica e fotografia.
Dalla metà degli anni ’80 opera nel mondo della comunicazione visiva, alternando il suo impegno tra fotografia e video nel settore editoriale e commerciale.
Esordisce come fotografo di montagna, documentando, per le maggiori riviste del settore, le imprese dei più importanti scalatori del momento.
Passa quindi al mondo degli audiovisivi e del video, realizzando multi-visioni e riprese video-fotografiche presso lo studio AUDIOVIDEAL, di Umberto Santucci.
Nei primi anni ’90 inizia l’attività di fotoreporter professionista con le agenzie foto-giornalistiche INPRESS, World Photo e Masterfoto Roma. Pubblica foto-servizi di cronaca, politica e spettacolo sulle maggiori testate nazionali. Per aumentare le capacità comunicative nel settore fotografico, collabora con il “METASTUDIO” studio fotografico di Giovanni Canitano, migliorando le tecniche di ripresa e illuminazione da studio, con i grandi formati fotografici, per il ritratto, lo still-life e la riproduzione d’originali d’arte.
Da allora svolge attività di fotografo professionista, con pubblicazioni su stampa nazionale, cataloghi d’arte e riviste scientifiche; creazione di immagini per campagne pubblicitarie, commerciali ed istituzionali; offre inoltre le sue competenze in tecniche di ripresa, al servizio della comunicazione, per la risoluzione di problemi in diversi campi. Utilizza anche le nuove tecnologie digitali, sia in ripresa che in post-produzione, con l’utilizzo delle più avanzate applicazioni del settore.
La fotografia di ricerca inizia nei primi anni del terzo millennio, inseguendo la necessità di registrare immagini/emozioni, come racconto, in sintesi del vissuto quotidiano.
Pierluigi Zolli lives and works in Rome.
After graduating from art school, he attended professional courses in graphics and photography.
Since the mid-1980s he has worked in the world of visual communication, alternating between photography and video in the editorial and commercial sectors.
He began as a mountain photographer, documenting the exploits of the most important climbers of the moment for the major magazines in the sector.
He then moved on to the world of audiovisuals and video, producing multi-vision and video-photographic shots at Umberto Santucci’s AUDIOVIDEAL studio.
In the early 90s he began working as a professional photojournalist with the photo-journalistic agencies INPRESS, World Photo and Masterfoto Roma. He published news, politics and entertainment photo reports in the major national newspapers. In order to increase his communication skills in the photographic sector, he collaborated with Giovanni Canitano’s “METASTUDIO” photographic studio, improving the techniques of shooting and studio lighting, with large photographic formats, for portraits, still-life and the reproduction of art originals.
Since then he has been working as a professional photographer, with publications in the national press, art catalogues and scientific journals; creating images for advertising, commercial and institutional campaigns; he also offers his skills in shooting techniques, at the service of communication, to solve problems in various fields. He also uses the new digital technologies, both in shooting and in post-production, using the most advanced applications in the sector.
Research photography began in the early years of the third millennium, pursuing the need to record images/emotions, as a story, in synthesis of everyday life.
S.C.P. Senza Casa Propria
La storia si svolge a Roma.
Cercando nei luoghi noti e meno noti, frequentati dai senza tetto.
Costruendo un racconto di come ogni singola persona organizza il proprio spazio vitale generando una casa che non c’è.
Un viaggio tra i luoghi della città di Roma, dove i senza tetto passano la loro esistenza.
Le immagini di questa serie, sono realizzate da una impercettibile linea di confine, percorsa e mai attraversata, che delimita piccole oasi di vita privata nella complessità dello spazio pubblico. Le fotografie ci accompagnano da un’isola all’altra, invitandoci a riflettere da quel labile margine; alle nostre spalle la permeabilità degli spazi comuni, davanti a noi isole di intimità punteggiate da poche cose. Una sedia, una coperta, dei contenitori. Ogni oggetto contribuisce a definire un luogo protetto, interiore. Dei teli sottili e mobili tracciano linee che contengono e proteggono, diaframmi semitrasparenti, bordi tra due mondi. Le immagini non invadono, rispettano il confine e lo raccolgono.
Lo testimoniano.
S.C.P. Senza Casa Propria – Without a Home
The story takes place in Rome.
Searching in the known and less known places frequented by the homeless.
Constructing a narrative of how each individual person organises their living space, creating a home that is not there.
A journey through the places in the city of Rome where the homeless spend their lives.
The images in this series are created by an imperceptible borderline, walked and never crossed, which delimits small oases of private life in the complexity of public space. The photographs accompany us from one island to another, inviting us to reflect from that labile margin; behind us the permeability of common spaces, in front of us islands of intimacy punctuated by a few things. A chair, a blanket, containers. Each object contributes to defining a protected, interior place. Thin, mobile sheets trace lines that contain and protect, semi-transparent diaphragms, edges between two worlds. The images do not invade, they respect the border and collect it.
They bear witness to it.
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