Fragile
by Ilaria Di Biagio
Un progetto fotografico può essere molte cose e, una volta venuto alla luce, oltre a documentare, raccontare, denunciare, recuperare memorie, ipotizzare scenari futuri, può accadere che assuma una personalità propria, autonoma e, con essa, nuove intenzioni, traguardi imprevisti rispetto a quelli inizialmente voluti dal suo autore.
“Fragile” di Ilaria Di Biagio ha questo potere straordinario.
Nasce da una storia familiare con il preciso proposito di far conoscere la Sindrome di Ehlers-Danlos, ma nel tempo, come vedremo, diventa anche molto altro. Gioia, la sorella di Ilaria, soffre da quando è nata di questa malattia genetica molto rara, causata da un difetto nella sintesi del collagene, che comporta un’eccessiva lassità di tessuti, articolazioni e organi interni. Quando era piccola, il suo corpo le consentiva contorsioni che provocavano stupore: sembrava avere davanti a sé un destino da contorsionista. Ma ogni minima ferita, ogni caduta poteva trasformarsi in una corsa all’ospedale. Fino a quando all’età di 7 anni le viene diagnosticata questa sindrome dal nome impronunciabile. Un giro di boa che non cambia nella sostanza la complessità di una vita disseminata di potenziali pericoli, ma soprattutto siglata da una ricerca costante di strade alternative a quelle consuete. Un dedalo di sentieri che condurranno Gioia ben più lontano di dove molti di noi arrivano, pur vivendo senza dolori continui e senza rischi di lussarsi una spalla mentre si dorme.
È proprio Gioia nel 2011, quando Ilaria sta terminando il corso di fotografia alla Danish School of Media and Journalism, a proporle di dedicare un progetto a questa presenza ingombrante che le accompagna fin da quando erano bambine. Una proposta che contiene una sfida complessa: guardare in faccia il tabù, riuscire a maneggiarlo, ad addomesticarlo, forse. Ilaria accetta la sfida e insieme iniziano un vero e proprio pellegrinaggio in giro per ospedali, un primo passaggio obbligato per capire e narrare.
“Fragile” segna l’inizio ufficiale di un’avventura condivisa da sempre, che negli anni si trasforma e si arricchisce di nuovi significati. Diventa un ponte comunicativo davvero speciale tra Gioia e Ilaria; una zattera per stare a galla insieme, vicine, di fronte a questa malattia e alle sue conseguenze. Diventa un trampolino per affrontarla e narrarla in modo nuovo, con lo sguardo rivolto al futuro e per non farlo sole, ma affiancate da una preziosa sorella invisibile che accomuna i loro distinti percorsi di vita: sorella creatività. Si tratta di una questione genetica: il padre, Paolo Di Biagio, architetto, la madre, Gioia Conta, archeologa, docente di Geografia storica del mondo antico e amante della fotografia. La comune istintiva passione per i viaggi e per l’arte, contagia fatalmente le due figlie.
Gioia, classe 1985, musicista, scrittrice, formatrice, performer, è un’artista con un’anima camaleontica e un coraggio da leone, mimetizzato sotto un aspetto da dama extraterrestre. Sembra appena atterrata da una galassia lontana, dove la fragilità e l’imperfezione sono valori da rispettare, qualità di cui andare fieri, non difetti da nascondere.
Ilaria, classe 1984, si interessa alla fotografia fin da giovanissima. Dopo gli studi in antropologia e giornalismo, frequenta corsi specifici prima in Italia e poi in Danimarca e nel tempo mette a punto un linguaggio ad alto contenuto poetico, che si nutre di vicinanza e di memoria e matura passo dopo passo, grazie a ritmi di lavoro lenti, concentrati. Lei stessa racconta che il suo modo di lavorare è in totale controtendenza rispetto alla sua natura energica, dinamica, ritmata. La sua ricerca visiva dà vita a storie che la vedono diversamente coinvolta in prima persona nella narrazione fotografica e che le richiedono dunque di trovare “la giusta distanza”, per decifrare ciò che vuole raccontare, per trovarne il senso. Tematica centrale nel percorso di Ilaria è il viaggio, inteso come dimensione dell’essere e come immersione profonda nel ritmo dei paesaggi che attraversa.
“Fragile” è anche questo, un viaggio intimo in molti luoghi diversi. Prima di tutto in questa malattia rara ignota ai più e nei dolori che provoca, nelle piccole immense difficoltà quotidiane e nelle conquiste necessarie per non soccombere. Poi è un viaggio nella dimensione della fragilità, nei riflessi lievi che derivano dalla convivenza con tante costrizioni. E ancora è un viaggio in una relazione di sorellanza e nel significato che può avere una scoperta così traumatica, se si sceglie di farla diventare materiale vivo su cui intervenire con la potenza rigenerativa dell’arte. Un viaggio dal tabù alla libertà d’espressione fino all’accettazione.
La dignità che traspare dalle fotografie che Ilaria scatta a Gioia è una dignità radicata nella vitalità di un corpo che, nonostante tutto, ogni giorno afferma la propria presenza e la propria capacità di modificare il destino, senza nascondersi ma al contrario camminando a testa alta. Una dignità che parla dell’attenzione necessaria in ogni singolo passo per arrivare in cima ad una montagna. Camminare in salita, con un peso costantemente posizionato sulle spalle, richiede una delicatezza estrema, una cura rispettosa in ogni minimo movimento. Gioia cammina e Ilaria la accompagna con sguardo affettuoso, catturando i momenti in cui si compie questo miracolo così simile alla fioritura.
Francesca Boschetti
Carezza, Bolzano, Novembre 2011.
Gioia ha trovato all’interno di un guardaroba, il camice bianco che aveva usato in ospedale nel 1997: quando aveva solo 12 anni le si bloccò l’arteria mesenterica. Fu invece operata di appendicite ma solo due mesi dopo, a Firenze, le fu diagnosticata correttamente perché ebbe un’altra trombosi.
Novembre 2011.
Ivan, marito di Gioia, le fa un massaggio. Gioia soffre di dolori alla schiena a causa della sua pronunciata scoliosi. Può essere collegato alla sindrome di Ehlers-Danlos. Ivan ha iniziato a fare massaggi per aiutare Gioia. Dopo 8 anni, ora è un massaggiatore professionista. Gioia è ancora la sua cliente preferita.
Arcipelago delle San Blas, Panama, Marzo 2010.
Gioia suona l’organetto dal 2006, nonostante il peso dell’oggetto, riesce spesso a delegare il trasporto ai componenti del suo gruppo “Le Cardamomò”.
Ospedale di Bolzano, Estate 1997.
Aveva solo 12 anni quando le si bloccò l’arteria mesenterica. Fu invece operata di appendicite ma solo due mesi dopo, a Firenze, le fu diagnosticata correttamente perché ebbe un’altra trombosi.
Questa fotografia è parte del primo rullino che ho scattato in vita mia.
Impruneta, Firenze, Novembre 2011.
Gioia soffre di dolori alla schiena a causa della sua pronunciata scoliosi. Questo è il busto che Gioia ha indossato tutti i giorni quando aveva 12-17 anni. Ora è nella nostra cantina.
Roma, 2013.
Gioia recita per una scena del video musicale “Valse de Meduse”, del suo gruppo Le Cardamomò.
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Ilaria Di Biagio
Biografia
Ilaria Di Biagio (Firenze, 1984), è cresciuta in una vecchia casa di campagna, dove vive tuttora. Ha studiato Antropologia Visuale e Giornalismo d’Inchiesta a Roma, seguendo nel frattempo corsi di fotografia prima a Firenze e Roma e poi in Danimarca, presso la Danish School of Media and Journalism (2011), dove focalizza la sua attenzione verso un’indagine artistica più personale, lavorando a progetti che la coinvolgono da vicino.
È qui che produce il lavoro “The thin line”, ripercorrendo a distanza di 15 anni un viaggio fatto con la famiglia in Scandinavia ed inizia il progetto a lungo termine “Fragile”, sulla sorella Gioia.
Memorie e radici del passato sono un tema comune nei suoi lavori, in cui indaga prevalentemente il rapporto che le persone hanno col proprio ambiente.
L’interesse verso la ricerca del territorio e la sua antropizzazione la porta a viaggiare molto in Italia e all’estero.
Insieme a Pietro Vertamy, proprio grazie a questa comune passione per l’esplorazione e le arti visive, nel 2015 crea “Around The Walk” laboratorio errante di indagine visuale che unisce progetti artistici e culturali alla mappatura di nuovi percorsi a piedi. Dal 2020 fa parte del collettivo Arcipelago-19.
Pubblica sulle maggiori testate nazionali – La Repubblica, Io Donna, Internazionale, D, Marie Claire, Mind, Bell’Italia, La Nuova Ecologia, ed.Mondadori etc.
Ha esposto al Festival Chobi Mela VII in Bangladesh, al Copenhagen Photo Festival, in una personale presso la Carillon Gallery a Dallas-Texas, al Perugia Social Photo Fest ed in vari luoghi in Italia.
Attualmente lavora come free-lance in Italia e all’estero.
Ilaria Di Biagio (Florence, 1984) grew up in an old country house, where she still lives. She studied Visual Anthropology and Investigative Journalism in Rome, meanwhile taking photography courses first in Florence and Rome and then in Denmark, at the Danish School of Media and Journalism (2011), where she focused her attention on a more personal artistic investigation, working on projects that involved her closely.
It is here that she produces the work ‘The thin line’, retracing a trip she made with her family to Scandinavia 15 years later, and begins the long-term project ‘Fragile’, about her sister Gioia.
Memories and roots from the past are a common theme in his work, in which he mainly investigates the relationship people have with their environment.
Her interest in researching the territory and its anthropisation leads her to travel extensively in Italy and abroad.
Together with Pietro Vertamy, thanks to this common passion for exploration and visual arts, in 2015 she created “Around The Walk”, a wandering laboratory of visual investigation that combines artistic and cultural projects with the mapping of new walking routes. Since 2020 he has been part of the Arcipelago-19 collective.
He publishes in major national newspapers – La Repubblica, Io Donna, Internazionale, D, Marie Claire, Mind, Bell’Italia, La Nuova Ecologia, ed.Mondadori etc.
He has exhibited at the Chobi Mela VII Festival in Bangladesh, at the Copenhagen Photo Festival, in a personal exhibition at the Carillon Gallery in Dallas-Texas, at the Perugia Social Photo Fest and in various venues in Italy.
He currently works as a freelancer in Italy and abroad.
Fragile
Quando siamo insieme, è diventato ormai normale prenderle la bottiglia piena che mi porge per svitare il tappo, portarle borse che per lei sarebbero massi, aiutarla perché non si muove per i dolori alla schiena. O alla spalla. Ultimamente anche all’anca. Sicuramente ai piedi. E poi la stanchezza cronica…Però lo dice sussurrando, e dice che si è un po’ venuta a noia da sola con tutto questo lamentarsi. Sorrido. Il suo cinismo è anche il mio e quando siamo insieme proprio non riusciamo a trattenerci. Da piccola tessevo trecce con le sue dita snodate e facevamo un’entusiasmante siparietto in famiglia in cui Gioia si girava in un ponte che lasciava il nostro pubblico a bocca aperta. Questo avveniva quando ancora tutti pensavamo avesse innate doti da contorsionista, insieme però ad una fragilità anch’essa ben oltre la norma. Quando scoprimmo che invece questa lassità dei tessuti, delle articolazioni e degli organi interni aveva un nome, Sindrome di Ehlers Danlos, molte cose si chiarirono, altre sono rimaste nel limbo della complessità genetica di questo disordine causato da un difetto nella sintesi della proteina del collagene.
Il progetto “Fragile” è nato nel 2011, in collaborazione con Gioia. Guardarla ed essere guardata attraverso la macchina fotografica, confrontarci insieme sullo sviluppo del progetto, su quali foto tenere, quali scartare, ci ha permesso di parlare di noi e dell’EDS, trovando finalmente il modo per affrontare un nostro grande tabu.
Trattandosi di un tema così vicino e presente, continuo tutt’oggi a fotografarla e integrare il progetto con nuovi scatti.
Fragile
When we are together, it has become normal to take her the full bottle she hands me to unscrew the cap, to bring her bags that would be massive for her, to help her because she cannot move because of back pains. Or her shoulder. Lately also in my hip. Definitely in her feet. And then the chronic fatigue…She whispers it, though, and says she’s kind of bored herself with all this complaining. I smile. Her cynicism is also mine and when we are together we just can’t help ourselves. When I was a child I used to weave braids with her jointed fingers and we used to do an exciting family skit in which Gioia would turn into a bridge that left our audience speechless. This was back when we all still thought she had innate contortionist skills, along with a frailty that was also well beyond the norm. When we discovered that instead this laxity of tissues, joints and internal organs had a name, Ehlers Danlos Syndrome, many things became clear, others remained in limbo of the genetic complexity of this disorder caused by a defect in collagen protein synthesis.
The ‘Fragile’ project was born in 2011, in collaboration with Gioia. Looking at her and being looked at through the camera, discussing together the development of the project, which photos to keep, which to discard, allowed us to talk about ourselves and EDS, finally finding a way to tackle one of our big taboos.
Since it is such a close and present topic, I continue to photograph it to this day and supplement the project with new shots.
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