Icone Laiche

by Giovanni Battisti

Nella tradizione bizantina le icone sono considerate “finestre sul mistero”, immagini (in greco “eikon” significa proprio “immagine, figura”) dotate di facoltà straordinarie e destinate alla preghiera. Venerarle significa poter conoscere e venerare la realtà di chi vi è raffigurato – Dio, la Madre di Dio, i Santi – e ha un valore salvifico.
Anche le “Icone laiche” di Giovanni Battisti hanno una facoltà fuori dall’ordinario: ci ricordano che tutti, senza distinzione alcuna, possiamo attingere a qualcosa di preziosissimo e unico, un “seme dorato” che alberga in ognuno di noi, pronto a germogliare, a condizione di volerlo.
L’idea di creare una galleria di “icone” dedicate al potenziale di ogni essere umano nasce quale diretta conseguenza del progetto IMAGO DIGNITATIS. Come Giovanni stesso racconta, “volevo realizzare qualcosa di nuovo, partendo da zero, per questo ho passato parecchio tempo interrogandomi sul senso della parola dignità, molto spesso legato a contesti di povertà, malattia, disagio e riscatto”. La declinazione semantica che ha scelto si discosta da questa sfumatura di senso e oltrepassa il confine di qualsiasi accidentalità contingente, con l’intento di cogliere l’accezione “primigenia” della dignità, scevra da altre implicazioni, per rappresentarne il nucleo vivo.
Da questa idea nascono i primi ritratti, dedicati a bambini: esempi di massima dignità perché più vicini allo stato di purezza e integrità “iniziali”. L’aureola, deliberatamente sempre presente a coronare il capo dei soggetti, ha proprio la funzione di rendere visibili le potenzialità “alte” di sviluppo del sé, legate alla dimensione profonda insita in ogni essere umano. L’aureola, spiega Giovanni, è un monito – “Ricordati ciò che puoi essere” – un incoraggiamento a mantenersi “degni della dignità”, un richiamo a viverla attivamente.
Per realizzare il suo “album di icone” ha scelto di trasformare ogni fotografia in un pezzo unico, come coloro che ne sono protagonisti, intervenendo sulla stampa in un modo nuovo e diverso ogni volta. La sola costante è l’utilizzo della stampante Fujifilm Instax che consente, partendo da file digitali, di ottenere fotografie in formato Polaroid. Una tipologia di foto accessibile a tutti che richiama alla mente gli album di famiglia senza pretese degli anni ’60-’70 ma, anche, associata alla manipolazione e alla sperimentazione artistica non convenzionale. Inventata nel 1937 da Edwin Land dopo lunghi anni di ricerche, la prima fotocamera istantanea – la Polaroid 95 – vede la luce nel 1948 e riscuote immediatamente un grande successo. La sua diffusione è virale, ma a renderla un oggetto di culto in ambito artistico contribuirà soprattutto Andy Warhol che, a partire dalla fine degli anni ’60, ne farà un uso maniacale, usandola non solo come elemento costitutivo delle sue opere ma anche come strumento per conservare la memoria di ogni momento: “Per questo motivo scatto fotografie. È un diario visivo”, spiegava lui stesso.
La scelta del formato Polaroid posiziona implicitamente “Icone laiche” in un panorama espressivo di matrice Pop, ambito in cui l’icona diventa un elemento cardine. Ma Giovanni conserva anche un legame evidente e diretto con i prototipi bizantini, tavolette di piccolo formato in cui l’oro pervade lo spazio come una luce soprannaturale. Persino nella cura esecutiva, che richiede tempi lunghi per il raggiungimento dell’esito finale, c’è una memoria esplicita di quella tradizione. Giovanni racconta che il suo lavoro prende il via da scatti provenienti sia da cellulare che da macchina fotografica e, una volta ottenuta la Polaroid, lavora su ogni ritratto “rispondendo” d’istinto a necessità espressive che sente strettamente legate al singolo soggetto, necessità che lo guidano nella messa a punto dei metodi esecutivi e nella selezione dei materiali. L’oro a volte è in foglia altre volte un semplice pennarello; gli sfondi su cui fissa la Polaroid sono carte diverse, oltre alle carte da regalo, c’è la carta di giornale, trasferita però tramite l’uso di trielina; anche la stesura dei colori denota procedure differenti; un’unica volta per lo sfondo ha scelto la stoffa: un lino bianco di Procida, omaggio alla suocera Autilia; così come solo per il ritratto della moglie si è misurato con la tessitura per realizzare l’aureola: una complessità tecnica che ha richiesto tempo e attenzione, quasi una restituzione per la cura che Enza ha dedicato alla famiglia.
Si direbbe che per Giovanni c’è una vera e propria necessità di dare voce all’unicità di ogni persona attraverso il processo creativo. Non a caso i soggetti scelti fino ad ora fanno parte della sua vita: i genitori, i figli, la moglie, la suocera molto amata, amicizie scelte, un collega e pochi altri. Memorie vive. La relazione è un ingrediente fondante per lui, una sorta di lievito, invisibile ma indispensabile per creare un vero album di famiglia, che costituisce però solo l’incipit di un progetto aperto, destinato ad arricchirsi e ad allargarsi nel tempo.
La dignità a cui Giovanni intende dare visibilità e risalto è insita nel nostro essere umani e proprio per questo ci guarda dritto negli occhi e ci interroga con la pressione di una domanda quotidiana e con la sfacciataggine di chi non si fa problemi a chiedere ciò che vuole sapere. È una dignità privata di ogni orpello, ridotta al nucleo della questione: stare qui – oggi più che mai – ci posiziona costantemente davanti ad un bivio. Da una parte c’è lo scivolo della dimenticanza di quello che potremmo essere, dall’altra c’è il trampolino per sfruttarla quella potenzialità e farla diventare concreta, annaffiarla ogni giorno con la cura che si dedica ad un seme raro per far sì che arrivi a dare i suoi preziosi frutti. Una scommessa che ci riguarda tutti e il cui esito ha molto a che fare con il futuro.

Francesca Boschetti

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Giovanni Battisti

Biografia

Mi presento: Giovanni Battisti, classe 1972, veronese trapiantato da 20 anni a Roma. Sono un fotoamatore nel senso più letterale del termine: amo la fotografia in tutte le sue decinazioni, leggere libri di fotografia e sulla fotografia, andare per mostre e festival e, ovviamente, fotografare (soprattutto la mia famiglia e i nostri viaggi in giro per l’Italia). Da un anno o poco più ho iniziato a riscoprire le possibilità di contaminazione tra la fotografia e altri materiali, l’oro anzitutto ma mi sono trovato anche ad utilizzare il filo da ricamo, e le potenzialità grafiche delle mie immagini.
E’ una passione che mi ha dato, e mi dà, tanto: alimenta la mia curiosità verso il mondo e le persone che mi circondano. E mi ha regalato anche qualche soddisfazione: ho avuto la possibilità di esporre alcune mie foto a Verona, Tokyo, Vicenza e, prossimamente, in Portogallo e Olanda.
Soprattutto mi ha permesso di conoscere persone interessanti, stimolanti e curiose della vita, che sarebbe stato un peccato non incontrare.

Let me introduce myself: Giovanni Battisti, born in 1972, a Veronese transplanted to Rome for 20 years. I am a photo amateur in the most literal sense of the term: I love photography in all its declinations, reading books on photography and photography, going to exhibitions and festivals and, of course, taking pictures (especially of my family and our travels around Italy). A year or so ago I started to rediscover the possibilities of contamination between photography and other materials, gold first of all but I also found myself using embroidery thread, and the graphic potential of my images.
It is a passion that has given me, and gives me, so much: it fuels my curiosity about the world and the people around me. And it has also given me some satisfaction: I have had the opportunity to exhibit some of my photos in Verona, Tokyo, Vicenza and, soon, in Portugal and Holland.
Above all, it has allowed me to meet interesting, stimulating and curious people in life, whom it would have been a shame not to meet.

Icone Laiche

Dignità: sappiamo tutti cosa significa la parola “dignità”. Eppure quando mi è stato proposto di partecipare al progetto “Imago Dignitatis” mi sono trovato in seria difficoltà: cos’è veramente la dignità? È difficile, forse impossibile rappresentare un concetto se questo non ti è veramente chiaro. Così i primi mesi li ho dedicati a riflettere su questa parola: la dignità la ricolleghi immediatamente alla persona, ad un modo di comportarsi (un comportamento dignitoso), ad un modo di vivere (una vita dignitosa), ad un modo di vestire (un vestito dignitoso). Eppure, e su queste domande mi bloccavo, forse che una persona povera, poco istruita, mal vestita ha meno dignità di un’altra? È evidente che “no” ma non riuscivo ad andare avanti. Finchè un giorno mi è capitato di leggere, per puro caso, un passaggio di un’intervista al cardinale Pell, in cui raccontava dei giorni trascorsi in carcere in Australia; lì era rimasto folgorato dall’idea che Dio ama dello stesso infinito amore sia lui, cardinale eminente della Chiesa Cattolica, sia il più tremendo dei delinquenti.

A quel punto mi è stato tutto chiaro: la dignità non è un attributo accessorio dell’essere umano ma, come un titolo nobiliare qualsiasi, è un “titolo” che gli è dato sin dalla nascita, in quanto persona e a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Così è nato il progetto “Icone Laiche” che, mi auguro, andrà avanti anche oltre questo bellissimo ciclo di mostre di “Imago Dignitatis”: per sottolineare l’importanza, l’unicità e la bellezza di ogni singolo essere umano. E per ricordarci che abbiamo in noi tutto quello che serve per vivere pienamente questo lasso di tempo che chiamiamo vita.

Icone Laiche

Dignity: we all know what the word ‘dignity’ means. Yet when I was proposed to participate in the ‘Imago Dignitatis’ project, I found myself in serious difficulty: what is dignity really? It is difficult, perhaps impossible to represent a concept if it is not really clear to you. So I spent the first few months reflecting on this word: dignity is immediately linked to the person, to a way of behaving (a dignified behaviour), to a way of living (a dignified life), to a way of dressing (a dignified dress). Yet, and on these questions I get stuck, is it perhaps that one poor, poorly educated, poorly dressed person has less dignity than another? Clearly ‘no’, but I could not go on. Until one day I happened to read, purely by chance, a passage from an interview with Cardinal Pell, in which he recounted the days he spent in prison in Australia; there he was struck by the idea that God loves with the same infinite love both him, an eminent cardinal of the Catholic Church, and the most terrible of criminals.
At that point it all became clear to me: dignity is not an accessory attribute of a human being but, like any noble title, it is a ‘title’ that is given to him or her from birth, as a person and apart from any other consideration. This is how the ‘Secular Icons’ project was born, which, I hope, will continue beyond this beautiful cycle of ‘Imago Dignitatis’ exhibitions: to emphasise the importance, uniqueness and beauty of every single human being. And to remind us that we have within us all that is needed to fully live this period of time that we call life.

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